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disturbi del comportamento alimentare

Disturbi del comportamento alimentare

Anoressia e Bulimia Nervosa

I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono patologie che portano a vivere, chi ne è affetto, con l’ossessione del cibo, del peso e dell’immagine corporea. Insorgono prevalentemente durante l’adolescenza e colpiscono prevalentemente il sesso femminile; il rapporto tra femmine e maschi è di 9 a 1, ma il numero dei maschi è in crescita , così come l’età di esordio per le giovani si è abbassata.

I principali DCA sono l’Anoressia Nervosa e la Bulimia Nervosa che sono due sindromi distinte. A.N. e B.N. condividono però molti caratteri ed è frequente che la stessa persona passi, in momenti diversi della vita, dall’uno all’altro disturbo.

Queste due condizioni rappresentano gli estremi di un continuum fenomenologico lungo il quale trovano posto tutta una serie di configurazioni intermedie.

Il Disturbo da Alimentazione Incontrollata (Binge Eating Disorder BED) caratterizzato da crisi bulimiche ma assenza di comportamenti per il controllo del peso e i  Disturbi Alimentari Non Altrimenti Specificati (NAS) disturbo alimentare clinicamente significativo ma che non soddisfa i criteri per una diagnosi piena.

L’Anoressia

Il termine Anoressia deriva dal greco “ anorexia” e significa “mancanza di appetito”, ma non è una definizione del tutto appropriata in quanto l’anoressica nega di sentire la fame. E’ presente un desiderio patologico di essere magre, paura di acquisire peso e negazione della gravità del proprio sottopeso. Chi soffre di A.N. non si rende conto della propria magrezza, è presente una  eccessiva influenza del peso e della forma del proprio corpo sui livelli di autostima.

Esiste una forma di Anoressia in cui la perdita ed il controllo del peso sono dovuti al digiuno e, talvolta ad una eccessiva attività fisica, ed un’altra che si caratterizza per la presenza di crisi bulimiche e/o comportamenti che assieme al digiuno, hanno lo scopo di diminuire il peso: vomito autoindotto,uso improprio di lassativi e/o diuretici.

La Bulimia

Il termine Bulimia deriva dal greco e significa “fame da bue”, si riferisce ad un impulso incontrollabile a mangiare grandi quantità di cibo, infatti la caratteristica principale della malattia sono le crisi bulimiche o “abbuffate”. Un’abbuffata si definisce tale quando la persona mangia in un definito periodo di tempo (1-2 ore) una quantità di cibo significativamente superiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe nello stesso tempo e, contestualmente è presente la sensazione di perdere il controllo e non riuscire a fermarsi. Le crisi bulimiche avvengono almeno due volte a settimana. Sono presenti ricorrenti ed inappropriate condotte compensatorie per prevenire l’aumento del peso, come vomito autoindotto, abuso di lassativi, diuretici,digiuno o esercizio fisico eccessivo. I livelli di autostima sono influenzati dalla forme e dal peso corporeo.

 

Una caratteristica quasi sempre presente in chi soffre di un disturbo alimentare è l’alterazione della propria immagine corporea . La percezione che la persona ha del proprio aspetto, ovvero il modo in cui nella sua mente si è formata l’idea del suo corpo e delle sue forme, sembra influenzare la sua vita più della propria immagine reale.

Anoressia e bulimia sono entrambi disturbi dello sviluppo ,in cui la persona, si concentra ossessivamente sul cibo,sul peso e sulla forma del corpo,come mezzo per risolvere problemi  legati all’ identità personale.

L’anoressia si presenta poco dopo la pubertà, quando il corpo sviluppa la forma, mentre la bulimia emerge in uno stadio di maturazione più avanzato(tarda adolescenza/giovane adulto) quando il soggetto è impegnato nel raggiungimento dell’autonomia dalla propria famiglia di origine.

La terapia familiare è indicata con pazienti adolescenti o giovani adulte che vivono in famiglia e quando i familiari sono fortemente coinvolti nelle dinamiche legate al sintomo. La terapia familiare favorisce lo scioglimento dei nodi che vincolano la paziente alle problematiche irrisolte della storia e delle dinamiche della propria famiglia..

In ogni modo, anche in caso di t. individuale,propongo sempre uno/due colloqui con la famiglia di origine, come aiuto ad una migliore comprensione del problema…..

Per il terapeuta sistemico un sintomo non vale l’altro; proprio perché l’attenzione del clinico è rivolta alla storia relazionale del sistema familiare e al momento presente, in cui il problema è divenuto parte integrante delle dinamiche relazionali, il disturbo alimentare non è un sintomo qualsiasi, dovuto ad un problema qualsiasi, in un momento qualsiasi, ma un comportamento rivelatore delle peculiari modalità di funzionamento di queste famiglie.

E’difficile che una paziente con disturbo alimentare richieda spontaneamente una terapia, e ancor più una terapia individuale, considerato anche il fatto che il mantenimento del peso è, per lo meno superficialmente, l’obiettivo primario e vitale della paziente. Non stupisce dunque che la terapia familiare si sia dimostrata adatta al trattamento dei disturbi alimentari, in quanto il primo contatto con il terapeuta avviene in genere attraverso familiari, ma anche e soprattutto perché per queste pazienti un lavoro individuale, soprattutto se focalizzato su aspetti intra-psichici, è una strada difficilmente percorribile. Come sostiene Ugazio (2012), le identità dei membri di queste famiglie sono indissolubilmente legate, proprio perché è solo attraverso la relazione con l’altro che questi soggetti costruiscono la propria identità.

È infatti la centralità della relazione in corso che caratterizza queste famiglie uno degli aspetti che rende la terapia sistemico-relazionale adatta ed efficace con questo tipo di patologie. L’attenzione alle dinamiche relazionali, ai conflitti, alle alleanze e alle coalizioni, ai confini familiari e all’interdipendenza dei diversi membri, così come la visione del sintomo come un problema fra le persone che caratterizzano l’approccio sistemico ben si coniugano con le modalità interattive e i significati attraverso i quali i membri di queste famiglie costruiscono la propria storia.

Le stesse pazienti, terribilmente in difficoltà quando si tratta di dare spazio e voce alle proprie intime emozioni, sono invece sorprendentemente competenti ed abili nell’osservazione delle relazioni, proprio perché parte di un contesto familiare in cui una  tale abilità è esercitata, perché necessaria.

La famiglia, non è l’unico contesto relazionale che il terapeuta sistemico prende in considerazione quando ha a che fare con un paziente con disturbi alimentari Esistono numerosi altri contesti di riferimento, come la scuola, il gruppo dei pari, la squadra di nuoto, oppure la classe di danza, ecc; a questi si aggiungono, nel momento in cui insorge il disturbo alimentare, i Servizi che si attivano per la presa in carico del problema. Il terapeuta sistemico non può dunque sottrarsi dal prendere in considerazione, ovviamente nel caso in cui siano in maniera rilevante implicati nel problema, i diversi e variegati sistemi.

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